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I sampietrini
Croce e delizia dei romani, i sampietrini costituiscono la pavimentazione di strade e piazze del centro storico della capitale e, in particolar modo, di piazza San Pietro. La presenza capillare nei luoghi più significativi della città li ha resi parte dell’immaginario collettivo, facendo di loro un vero e proprio simbolo di Roma.
Cosa sono e come sono fatti

Piazza Navona
Il sampietrino è un blocco di forma cubica o di piramide tronca, ricavato dalla leucitite, una roccia eruttiva effusiva presente nei Colli Albani e nei Monti Ernici, Sabatini e Volsini del Lazio, e dalla selce, roccia sedimentaria composta quasi esclusivamente di silice, estremamente compatta e pressoché inattaccabile dagli agenti atmosferici.
Si ottengono spaccando le pietre lungo le linee naturali di sfaldatura (in modo da garantire ai blocchi la massima solidità possibile), per ottenere dei parallelepipedi di diversa grandezza. I più diffusi sono quelli di 12x12x6 cm; i più grandi misurano 12x12x18 cm; mentre i più piccoli sono 6×6 cm e si possono ammirare nella pavimentazione di piazza Navona.
Una volta realizzati, i sampietrini vengono posati su un letto di sabbia o pozzolana e poi battuti, in modo da aderire al fondo stradale. Questo procedimento permette di ottenere un manto stradale che, pur essendo irregolare, risulta molto resistente ed elastico e lascia respirare il terreno grazie agli spazi esistenti tra una mattonella e l’altra.
Sampietrino o sanpietrino?

Piazza San Pietro
Sgomberiamo subito il campo da qualsiasi polemica inutile: si può dire sia sampietrino che sanpietrino. Sul dizionario di Tullio De Mauro il termine viene riportato come “sampietrino”, mentre sul vocabolario della Treccani compaiono entrambe le voci.
L’origine della parola sampietrino si deve al fatto che questi blocchi furono usati nel 1725 per sostituire la vecchia pavimentazione di piazza San Pietro, ormai danneggiata. Da allora hanno preso il nome del luogo che li ospita. Queste pietre da pavimentazione erano utilizzate già dal 1500 per realizzare strade su cui potessero correre più agevolmente le carrozze e furono poi impiegati massicciamente a partire dal XVIII secolo.
Modi di dire
Il sampietrino viene denominato anche selcio, in quanto blocco di selce usato per pavimentare le strade. Un termine usato per definire per estensione anche i cubi costruiti con materiali differenti. Da selci a serci, a Roma, il passo è breve. E la parola entra a far parte dei topoi del linguaggio quotidiano, tanto da essere utilizzata nel film Compagni di scuola, nel quale l’attore e regista romano Carlo Verdone dice “Ti prendo a serciate”.
Il sampietrino nell’arte
Prima che approdasse al cinema, il sampietrino/sercio era già apparso in altre sfere dell’arte, sempre per rappresentare le rivolte di piazza o le rivalità tra rioni. In particolare, fu usato nelle stampe dell’incisore e pittore romano Bartolomeo Pinelli (1781 – 1835) per raffigurare gli scontri a suon di sassaiole tra i residenti dei rivali rioni Trastevere e Monti.
Parlò di loro anche il poeta romano Giuseppe Gioachino Belli (1791 – 1863), che nei Sonetti romaneschi diede voce al popolo della Roma del XIX secolo. Belli, in particolare, scrisse: “M’impostai cor un sercio e nun me mossi,/ je feci fa tre antri passi, e ar quarto/ lo presi in fronte, e je scrocchiorno l’ossi”.
Infine, in una delle tante versioni dello stornello romano Sora Menica, per raccontare la rivalità tra le abitanti del rione Trastevere e quelle del rione Monti si fa riferimento, sì, alla loro bellezza ma anche alla disinvoltura nel maneggiare le armi. Se le prime cantano “io so’ trasteverina e lo sapete/ nun serve bella mia che ce rugate/ so’ cortellate quante ne volete”; le seconde non esitano a replicare “semo monticianelle e nun tremamo/ e lo spadino in testa lo tenemo/ er cortelluccio in petto, er sercio in mano”. Tutte però concludono: “Sora Menica, Sora Menica/ oggi è domenica./ Lasciame stà”.
Il gelato dedicato al sampietrino
Tale è la fama del sampietrino che a Roma gli hanno dedicato anche un gelato. Nella gelateria Casa del freddo di Fassi, in via Principe Eugenio 65, hanno inventato e brevettato il sanpietrino, semifreddo proposto in vari gusti d’estate, nonché dolce da forno in inverno.
Il sanpietrino è proposto in diverse versioni: ricoperto al cioccolato e ripieno di crema, zabaione, cioccolato, caffè, cocco o nocciolato; con glassa e ripieno alla nocciola e al pistacchio; glassa al cioccolato bianco con ripieno ai frutti di bosco; glassa e ripieno alla crema di limone; glassa al caffè con ripieno allo zabaione.
Le polemiche e l’attaccamento dei romani
Ciclicamente emergono a Roma delle polemiche sulla presenza dei sampietrini nella pavimentazione della città. Gli scooteristi lamentano l’irregolarità del manto stradale, che rende pericoloso il passaggio in moto; l’amministrazione critica i costi di manutenzione, che risultano più elevati di quelli delle strade asfaltate. Entrambi ne propongono la sostituzione, almeno nelle arterie principali. I sampietrini, d’altro canto, rendono difficoltose le passeggiate per chi indossa scarpe col tacco e, se bagnati, diventano piuttosto scivolosi.
Tuttavia sono un tratto rappresentativo della capitale. Per questo ogni proposta di una loro eliminazione è stata accompagnata da ondate di protesta popolare, il cui messaggio suona più o meno come quello lanciato da Pier Paolo Pasolini nel documentario del 1974 intitolato “La forma della città”. Parlando delle strada sterrata che conduce a Orte, Pasolini diceva: “Questa strada per cui camminiamo con questo selciato sconnesso e antico, non è niente, non è quasi niente, è un’umile cosa. Non si può nemmeno confrontare con certe opere d’arte, d’autore, stupende, della tradizione italiana, eppure io penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende un’opera d’arte di un grande autore. Esattamente come si deve difendere il patrimonio della poesia popolare anonima come la poesia d’autore, la poesia di Petrarca o di Dante”.
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